I 271 ANNI DELLA MERAVIGLIA BORBONICA



Quelli che vedete sono gli strumenti che Carlo di Borbone, nel giorno del suo trentaseiesimo compleanno, donò a Luigi Vanvitelli per la cerimonia della posa della prima pietra della Reggia di Caserta. Era il 20 gennaio 1752, e il Re festeggiava il suo genetliaco avviando il grande Palazzo che avrebbe dovuto celebrare l’istituzione del ramo indipendente dei Borbone di Napoli (1750) e stupire l’Europa.
Cazzuola e martelletto in argento con manico in avorio e giglio borbonico, che il grande architetto, in seguito, donò per devozione alla chiesa di santa Maria in Vallicella in Roma, dove giacevano i resti dei genitori e dove gli strumenti sono tuttora conservati.

La Reggia nella piana ai piedi dell’incontaminata piana ai piedi dei Monti Tifatini non doveva essere solo una sfarzosa comodità, con giardini e cascate, ma una vera e propria cittadella amministrativa polifunzionale del Regno, con sole 150 stanze su 1.200 riservate alla famiglia reale. Le restanti dovevano essere destinate agli alloggi della corte, a quelli delle truppe e agli uffici amministrativi, oltre alla Cappella Palatina e al Teatro di Corte. E poi un nuovo distretto reale a nord di Napoli da far nascere attorno al Palazzo, quello di Caserta, che avrebbe preso il nome dall’antico borgo medievale di Casa Hirta, l’attuale Casertavecchia.

Sono trascorsi 271 anni da allora, e quel momento possiamo immaginarlo osservando Il dipinto di Gennaro Maldarelli che affresca il soffitto della sala del Trono e leggendo gli scritti di Luigi Vanvitelli. Su di un palco sontuosamente addobbato i sovrani, la corte, gli ambasciatori, i prelati e l’architetto stesso. I Reggimenti di alcune province si posizionarono in modo da disegnare il perimetro del palazzo, ponendo ad ogni due cannoni. Al centro di tale spazio fu proprio il Re a porre la prima pietra, fra acclamazioni e salve dell’artiglieria, seguito dal Vanvitelli, che pose la seconda.

L’architetto reale guidò i lavori e le fatiche di operai specializzati e migliaia di galeotti musulmani del Nord-Africa catturati durante le scorribande piratesche lungo le coste del Regno. Col suo capolavoro e l’incredibile Acquedotto carolino, guadagnò la sua immortal gloria, ma non lo vide finito. Morì il primo giorno di marzo del 1773. Dunque, ci stiamo approssimando alle celebrazioni del 250esimo anniversario della sua scomparsa.

Ci vollero circa cento anni per chiudere i cantieri, sotto la guida di Carlo Vanvitelli e poi Gaetano Genovese, con qualche cospicuo “taglio” rispetto all’originario disegno. A dire stop fu Ferdinando II, a metà dell’Ottocento. E da allora il monumento Napolitano per il mondo sta lì, a ricordarci cosa significa l’armonia tra la natura e l’architettura.

Buon Compleanno, don Carlos, e lunga vita alla Meraviglia vanvitelliana.
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Fonte https://www.facebook.com/100050271588822/posts/pfbid02syx4qwR3cf7feGkUTafjXHdsuakLccApY55bbQ5yZB4JxcC6UVwu8YnPjEi69d8kl/?app=fbl

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