Brigantaggio politico-elettorale a Napoli ed in Terra di Lavoro, tra l’Unità d’Italia e Giolitti

Il ridisegno dell’amministrazione statale attraverso i collegi elettorali tra Napoli e la provincia di Terra di Lavoro. La repressione militare della guerriglia borbonica. Le lotte politiche tra la destra e la sinistra liberale e la formazione di una classe politica censitaria ed affarista. La vicenda dell’onorevole Giuseppe Romano e la battaglia anticamorra dei socialisti napoletani. Una storia che ancora oggi non si è chiusa.

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La geografia, soprattutto nel XIX secolo, era fatta da ufficiali per altri ufficiali; serviva a fare la guerra, per organizzare i territori, per meglio controllare gli uomini sui quali l’apparato statale esercita la sua autorità. La geografia è stata prima di tutto un sapere collegato ad una pratica politico-militare. (Yves Lacoste, Crisi della geografia, geografia della crisi, pag. 13)

Troppo vicina allo Stato Pontificio ed alla città di Napoli per evitarne le conseguenze, troppo estesa per essere omogenea, la Terra di Lavoro è stata vittima principalmente della propria geografia. L’instabilità politica che ha accompagnato la storia nazionale, fino al Novecento, è alla base della scala territoriale adottata dagli apparati statali nel corso dei secoli in questo territorio, cerniera tra l’Italia meridionale e quella centro-settentrionale, caratterizzandone inevitabilmente i mutamenti, impressi dalle tecnologie del potere adottate per il controllo della popolazione, per incrementarne la portata difensiva e la capacità produttiva.

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Area strategica al confine tra due stati, Terra di Lavoro è stata teatro di cruenti ed importanti battaglie che hanno segnato la storia locale, nazionale, europea, oltre che il rapporto tra la popolazione e le autorità. Il solo limes del Garigliano è stato la linea in cui si sono combattute alcune battaglie decisive della storia: nel 915 con opposte la Lega Cristiana ed i Saraceni, i quali avevano fondato una colonia (ribat) a Traetto, nei pressi della foce del fiume; il 29 dicembre del 1503 divenne la linea dello scontro tra l’esercito del Regno di Spagna, al comando del gran capitan Gonzalo Fernandez de Cordoba, e l’esercito francese guidato dal marchese di Saluzzo, Ludovico II, dal cui esito si determinò la storia del mezzogiorno d’Italia per due secoli; la battaglia tra gli eserciti del Regno delle due Sicilie e quello del Regno di Sardegna, iniziata il 29 ottobre del 1860, seguito della battaglia del Volturno del 1 ottobre 1860, tra i due fiumi dove Francesco II aveva rinsaldato un esercito di 50.000 uomini, chiamando a raccolta tutti i volontari per organizzare la resistenza che scaturì nell’assedio di Gaeta; la battaglia di Montecassino del 12 gennaio 1944, tra le forze alleate ed i nazifascisti, una parte della quale fu combattuta dalla V Divisione della fanteria inglese sul fiume Garigliano, che divenne parte della linea Gustav.
La città di Gaeta ha subito ben tre assedi nella sua storia: per quattro mesi nel 1734, durante la guerra di successione polacca, tra gli austriaci e le truppe di Carlo di Borbone; per cinque mesi nel 1806, durante le guerre della Terza Coalizione, tra l’armata francese e le forze britanniche e napoletane; per cento giorni, dalla fine del 1860 al 13 febbraio 1861, tra l’esercito piemontese e i residui delle truppe borboniche rimaste, che terminò con la definitiva capitolazione dei Borbone.
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L’indicazione geografica Terra di Lavoro ha abbracciato, per secoli, fin dall’XI secolo, un vasto territorio che comprendeva parte dell’attuale Lazio, con l’enclave pontificia di Pontecorvo, il Molise (con l’alta valle del Volturno che fino al 1963 faceva parte degli Abruzzi), la terra dei Mazzoni e parte dell’attuale provincia di Avellino e di Benevento, fino a Napoli.

Con la riforma napoleonica del 1806-1808, nel nuovo l’ordinamento amministrativo, sulla base del modello francese, l’area di Napoli venne scorporata da Terra di Lavoro e venne creata una regione che comprendeva 49 circondari, 233 comuni e 315 villaggi, suddivisi in cinque distretti: Caserta (istituito nel 1818); Nola (dal 1810), GaetaSora e Piedimonte d’Alife (dal 1811); con capoluogo Capua (poi Caserta dal 1818) e Santa Maria Maggiore (Santa Maria C.V) sede del Tribunale.

Con l’avvento dell’Unità d’Italia, nel 1861, il decreto Rattazzi (legge 23 ottobre 1859 n. 3702 del Regno di Sardegna) venne esteso anche alla Terra di Lavoro, che divenne una provincia, con una popolazione complessiva di 798.829 abitanti. La monarchia sabauda, assumendo il modello francese nel rapporto tra potere centrale e potere locale, trasferì l’esigenza di accentramento ed uniformità nell’amministrazione anche nelle nuove province del regno, consolidando nel tempo un sistema improntato sulle prefetture e sulle province come luogo di snodo tra potere statale e potere locale. Associazioni sindacali, diocesi, gruppi di interesse e partiti politici, nel corso dei decenni daranno forma alle loro organizzazioni sul livello provinciale

Vennero creati così 41 mandamenti e i circondari (sul modello degli arrondissement) presero il posto dei precedenti distretti, che rimasero cinque, con Pontecorvo che rimase enclave pontificia fino alla presa di Roma del 1870:

Circondario di Caserta, comprendente i mandamenti di Caserta, Arienzo, Aversa, Capua, Maddaloni, Formicola, Mignano, Pignataro, Pietramelara, Santa Maria C.V., Succivo, Teano, Trentola;

Circondario di Gaeta, con i mandamenti di Carinola, Fondi, Pico, Ponza, Roccamonfina, Sessa Aurunca, Roccaguglielmina e Traetto;

Circondario di Sora, con i mandamenti di Alvito, Arce, Arpino, Atina, Cervaro, Pontecorvo, Roccasecca, San Germano e Sora;

Circondario di Piedimonte d’Alife, con Caiazzo, Capriati a Volturno, Piedimonte d’Alife;

Circondario di Nola, con i mandamenti di Acerra, Cicciano, Marigliano, Nola, Saviano, Palma Campania.

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A partire dal 1861 iniziò la progressiva scorporazione amministrativa di Terra di Lavoro, con i comuni del baianese trasferiti alla provincia di Avellino, l’alta valle del Volturno trasferita alla provincia di Campobasso, ed i comuni della Valle Caudina e della valle Telesina che furono inglobati nella provincia di Benevento.

La struttura amministrativa e tributaria della Terra di Lavoro è stata orientata, fin dal periodo spagnolo, più sul controllo militare delle linee di confine, e sul controllo delle risorse e della popolazione, in funzione di Napoli, piuttosto che nello sviluppo di centri amministrativi facilmente raggiungibili e propulsivi per il territorio circostante. Gaeta, strategica per il porto militare, e Capua, erano piazze d’armi (castelli o forti) di prima classe; Sora si distinse come centro principale delle attività militari contro il brigantaggio; Caserta era inserita nel sistema di vettovagliamento di Napoli, in pratica una sorta di periferia dell’ex capitale; gli altri centri urbani come S.Germano (Cassino), Capua, Santa Maria C.V., Sessa Aurunca, Aversa, Piedimonte d’Alife, Nola, in ragione della migliore o minore ramificazione delle vie di comunicazione, divennero sedi di intendenze e sotto intendenze di finanze, prefetture, preture, comandi dei carabinieri, distretti militari, tribunali, ospedali, riformatori, carceri, uffici postali, istituti scolastici, convitti, ed altri apparati repressivi.

A fare da contraltare, una storia postunitaria in cui all’inizio del ‘900, il caos economico, la miseria del proletariato urbano ed agricolo, l’emigrazione, la mancata bonifica di vaste aree di latifondi abbandonati da una grande proprietà assenteista, l’insufficiente presenza di importanti manifatture, la difficoltà di accedere al credito per la scarsa diffusione degli istituti bancari, un sistema fiscale che non colpiva i redditi alti, l’analfabetismo, erano i veri problemi irrisolti, agitati dalla propaganda mazziniana e delle società operaie.

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